lunedì 1 aprile 2013

I Medici Responsabili di 30 strutture di Pronto Soccorso del Lazio scrivono a Zingaretti:

I medici che dirigono le strutture di Pronto Soccorso del Lazio, scrivono una lettera a Zingaretti per rappresentare i problemi che si trovano ad affrontare quotidianamente nei servizi di emergenza e sottoporre all'attenzione del Presidente della Regione Lazio, nonché Commissario ad acta per la Sanità  alcune proposte di soluzione.

Troppe morti ai pronto soccorso, la lettera dei primari: «Ecco le nostre proposte»

Fonte: il-Messaggero.it
28-03-2013 sezione: ROMA

Egregio Commissario,
le scriviamo oggi sapendo che sicuramente nei prossimi giorni dirà che uno dei primi settori in cui è intenzionato ad intervenire è costituito dai servizi di emergenza. 
Ce lo aspettiamo perché a questo tipo di promesse non si è sottratto nessun Presidente, né Assessore o Commissario, figuriamoci poi i Direttori Generali!! Tutti lo hanno detto, ma abbiamo l’impressione che poi abbiano fatto poco, se non nulla. Ovviamente la nostra speranza è che stavolta sia diverso ed alle parole seguano i fatti.

Tra tante situazioni difficili della sanità regionale quello che più di frequente finisce sotto i riflettori è il sistema di emergenza ed in particolare lo stato dei PS. Questo accade perché su questi servizi finiscono per scaricarsi le difficoltà dell’intero sistema, sia quelle di un territorio spesso povero di risorse che non riesce ad intercettare e gestire i bisogni della popolazione, sia quelle di Ospedali in difficoltà per una gestione ottusa del blocco del turn over del personale e comunque spesso inefficienti. Da parecchi anni il buon funzionamento degli ospedali non sembra importare più di tanto agli amministratori regionali che misurano i meriti di quelli che hanno messo a dirigere le Aziende Sanitarie su altri criteri, non sempre confessabili.

Il sovraffollamento dei Pronto Soccorso è un fenomeno ben conosciuto e studiato in tutto il mondo occidentale, e riconosce 2 cause principali: elevato numero degli accessi e stazionamento dei pazienti in attesa di ricovero. 

Negli ultimi anni la Regione ha deciso di dedicarsi solamente al primo aspetto, l’iperafflusso, ed in particolare al tema dei Codici Bianchi, affrontato con misure estemporanee che si sono mostrate poco efficaci e molto costose. Ma era il problema meno importante. Ben diverso è il disagio creato dallo stazionamento dei pazienti in attesa di ricovero per giorni ed il conseguente blocco delle ambulanze presso i Pronto Soccorso. 

L’immagine delle ambulanze bloccate e dei pazienti che aspettano per giorni un letto, rappresentano qualcosa di inaccettabile che offende i cittadini del Lazio ed in primo luogo proprio quanti nel nostro Servizio Sanitario Regionale mettono impegno e dedizione. E ad aspettare più a lungo sono i soggetti più fragili, a partire da quelli con oltre 75 anni. I Pronto Soccorso, destinati a gestire le situazioni di improvviso bisogno di salute che si determinano nella città, finiscono per essere veri e propri Reparti di Degenza, in spazi del tutto inadatti e senza risorse destinate a questa funzione, e così si rischia di finire ad assistere male chi staziona per giorni e non riuscire a garantire l’ efficienza necessaria nelle situazioni di urgenza ed emergenza.

Trattenere per tanti giorni in barella pazienti anziani e fragili ha risvolti etici e di tutela della privacy, rappresenta un pericolo ulteriore per la loro salute e determina in pazienti e parenti un crollo della fiducia nella struttura sanitaria pubblica, in chi ci lavora e in ultima analisi nell’istituzione regionale. 

Varie sono le cause di questa situazione, c’è una distribuzione dei Posti Letto disomogenea nella regione ed una scarsa efficienza delle strutture di ricovero con tempi di degenza più lunghi che nel resto d’Italia, ma non si deve sottovalutare la carenza di strutture per soggetti non autosufficienti, che nel Lazio sono poco più del 10% di quelli della Lombardia. In carenza di queste l’Ospedale finisce per essere la soluzione, costosissima ed inappropriata, ai problemi dei soggetti fragili, ed in particolare degli anziani privi di un adeguato supporto familiare. E così nei reparti di Medicina una percentuale molto elevata di pazienti staziona più per difficoltà legate alle condizioni sociali, povertà e solitudine, che a quelle di salute. Peraltro anche i Reparti di Lungodegenza e Riabilitazione sono nella nostra regione mal utilizzati, visto che la degenza media dei pazienti in questi reparti è dal 30 al 40% maggiore che nel resto del paese. Allora quel che serve è qualcosa che la programmazione regionale prevede e che ancora non è stato realizzato e cioè strutture di residenzialità protetta per soggetti fragili, in cui sia garantita assistenza anche sanitaria, ma non con l’intensità, i costi e le caratteristiche tipiche dell’Ospedale per acuti. Fermo restando la necessità che anche nella nostra regione l’assistenza domiciliare divenga una realtà e sia largamente ripensato il ruolo della rete dei medici di medicina generale. 

Non vi è dubbio comunque che molti problemi siano legati a come gli Ospedali funzionano: esistono regole, anche nella normativa regionale, chiare che sarebbero spesso risolutive se chi dirige le aziende decidesse di farle rispettare. Purtroppo non ci risultano casi di Direttori rimossi per non aver risolto il problema delle barelle in Pronto Soccorso, quando erano in condizioni di farlo.

Alcune cose sono fattibili da subito e senza eccessivi costi:
1. distribuire l’accesso in Ambulanza, quello che comporta il maggior numero di ricoveri, in modo più razionale tenendo conto della capacità recettiva delle strutture. In questo un aiuto deve venire dall’utilizzo dei sistemi informativi esistenti e non usati: qualsiasi cittadino può sapere in ogni momento qual’è la situazione degli Ospedali di Milano o quanti pazienti ci siano in attesa in un Ospedale della Liguria, mentre neppure il 118 del Lazio riesce a sapere cosa accade negli ospedali della regione. 

2. stabilire di quanti posti letto ha bisogno ogni Pronto Soccorso, sulla base degli accessi, e definire quali siano le Case di Cura Accreditate in cui inviare i pazienti che eccedono la capacità di ricovero della struttura.

3. sbloccare i concorsi per i servizi di Emergenza: spesso non è un problema di numero di operatori, ma di volatilità dei loro rapporti di lavoro ed è impossibile avere équipes competenti ed esperte se oggi quasi la metà dei Medici di PS è precaria. Eppure un Pronto Soccorso che funziona bene è anche un efficace strumento di contenimento delle spese attraverso la riduzione dei ricoveri. Allora fare subito i concorsi per avere situazioni stabili. Si può anche ipotizzare, per la difficile situazione economica, di dilazionarne gli effetti economici, ma è necessario che questi professionisti sappiano al più presto cosa fare e dove lo faranno nei prossimi anni! 

4. creazione di filiere acuti post-acuti, individuando strutture a bassa intensità di cure, e quindi poco costose, dove far terminare la degenza in sicurezza ai pz dimessi precocemente dai reparti per acuti; in questo modo sarà possibile con meno letti ricoverare più pazienti.

5. adeguamento del numero dei letti di RSA agli standard raggiunti in altre regioni visto che attualmente sono oltre 62000 in Lombardia contro i 7000 del Lazio.

6. il Sistema di Emergenza, e le reti di specialità in particolare, hanno bisogno di una costante attività di monitoraggio ed anche di intervento immediato. Per questo è necessario riattivare la Commissione Regionale per l’Emergenza, prevista dalla normativa vigente, rendendola più efficiente e meno pletorica, e creare una struttura, leggera, di intervento rapido capace di risolvere le situazioni di difficoltà nel funzionamento delle reti, difficoltà che nelle attività di emergenza non fanno differenza tra notte e giorno o fra feriali e festivi.

7. Come previsto dal recente accordo Stato-Regioni, si deve poter esseri inseriti dal Pronto Soccorso in Percorsi Clinico Assistenziali predefiniti, con l’utilizzo di servizi ospedalieri e territoriali, senza lasciare al paziente l’onere di doversi cercare da solo il dove ed il quando eseguire un esame o una visita. Avere la possibilità di concordare col paziente un percorso appropriato, certo, sicuro, è lo strumento per garantire al paziente ciò che realmente gli serve evitando ricoveri ingiustificati.

Quel che c’è da capire è che in una situazione di ridisegno del Sistema Sanitario Regionale, reso comunque necessario dal grave deficit che si è accumulato, che comporterà chiusure e tagli con la prospettiva di trovare magari un nuovo equilibrio tra mesi o anni, le maggiori difficoltà finiscono per scaricarsi sul sistema dei Pronto Soccorso, cioè quella parte della sanità che comunque c’è, e ad ogni ora di ogni giorno in qualche modo garantisce risposte.
La garanzia che ci sia veramente l’impegno di tutti lo dobbiamo a quei pazienti che aspettano ore in barella o vengono visitati su una poltrona, ma anche a quegli operatori (Ausiliari, Infermieri, Medici) che in tanti Pronto Soccorso lavorano in condizione di grande disagio, ma con impegno e dedizione.
Per discutere di questi temi chiediamo un sollecito incontro a Lei ed a quanti collaboreranno nella gestione della Sanità regionale.


Pronto soccorso, l'allarme dei primari: morti raddoppiate, ecco le soluzioni

Fonte: il-Messaggero.it
28-03-2013 sezione: ROMA


ROMA - I pronto soccorso di Roma e del Lazio sono la prima linea della sanità che sta saltando, sempre più in affanno, sempre più vicino alla resa. Ambulanze bloccate, ore di attesa, pazienti in barella per giorni. 
E le statistiche che raccontano: rispetto a dieci anni fa, sono raddoppiate le morti in pronto soccorso, da 1.533 a 3.200 annue, a Roma e nel Lazio. Il segnale evidente che il percorso dei pazienti si arena troppo a lungo nei pronto soccorso.

L’ALLARME
Ieri è partito l’ultimo appello di quaranta tra primari e medici dei pronto soccorso che hanno scritto al neo commissario per la sanità, Nicola Zingaretti. Spiegano: non ce la facciamo più, servono subito degli interventi correttivi. Tra i firmatari di una presa di posizione che ha pochi precedenti ci sono ad esempio Giuliano Bertazzoni e Claudio Modini, rispettivamente direttore di medicina d’Urgenza e direttore del Dipartimento di emergenza accettazione dell’Umberto I, Adolfo Pagnanelli, che dirige il pronto soccorso del Policlinico Casilino, Massimo Magnanti del pronto soccorso del San Giovanni, Francesco Pugliese, direttore del dipartimento emergenza accettazione dell’Asl Roma B e presidente regionale del Simeu (società italiana medicina emergenza urgenza). Ma la lista è molto più lunga. Scrivono: «Il sovraffollamento dei pronto soccorso è un fenomeno ben conosciuto e studiato in tutto il mondo occidentale, e riconosce due cause principali: elevato numero degli accessi e stazionamento dei pazienti in attesa di ricovero. Negli ultimi anni la Regione ha deciso di dedicarsi solamente al primo aspetto, l’iperafflusso, ed in particolare ai codici bianchi, affrontato con misure estemporanee che si sono mostrate poco efficaci e molto costose. Ma era il problema meno importante. Ben diverso è il disagio creato dallo stazionamento dei pazienti in attesa di ricovero per giorni ed il conseguente blocco delle ambulanze». Non è più tollerabile. «Ambulanze bloccate e pazienti che aspettano per giorni un letto: tutto questo offende i cittadini del Lazio ed in primo luogo proprio quanti nel nostro Servizio Sanitario Regionale mettono impegno e dedizione. E ad aspettare più a lungo sono i soggetti più fragili, a partire da quelli con oltre 75 anni. I pronto soccorso finiscono per essere veri e propri reparti di degenza, in spazi inadatti e senza risorse, e così si rischia di finire ad assistere male chi staziona per giorni e non riuscire a garantire l’efficienza necessaria nelle situazioni di urgenza ed emergenza». Perché i pazienti sono condannati al calvario? «Distribuzione dei posti letto disomogenea, tempi di degenza più lunghi che nel resto d’Italia, carenze di strutture per non autosufficienti (nel Lazio sono il 10% della Lombardia)».

LE PROPOSTE
Come si esce da questo dramma quotidiano? Bisogna sapere che nel Lazio non esiste un sistema che in tempo reale informi quanti posti letto liberi ci sono nei vari ospedali. «Neppure il 118 del Lazio riesce a sapere cosa accade negli ospedali di Roma. Bisogna invece distribuire l’accesso in ambulanza in modo razionale, tenendo conto della capacità ricettiva degli ospedali». Ancora: bisogna stabilire quanti posti necessiti ogni pronto soccorso e «definire quali siano le case di cura in cui inviare i pazienti». Tra le altre proposte: sbloccare i concorsi per i servizi di emergenza, che si reggono soprattutto sul precariato, aumentare i posti nelle Rsa (le residenze sanitarie assistenziali in Lombardia sono 62 mila, nel Lazio 7 mila).


«Più decessi perché si resta qui più a lungo»

Fonte: il-Messaggero.it
28-03-2013 sezione: ROMA


ROMA - Si muore di più nei pronto soccorso romani. Il doppio rispetto a dieci anni fa, benché i pazienti trattati non siano aumentati nella stessa proporzione. Attenzione, però: questo non significa che i medici siano diventati meno bravi. 
La spiegazione è un’altra: c’è il fatto che i pazienti restano molto più a lungo bloccati nei pronto soccorso per cui aumentano le probabilità che i decessi avvengano sulla barella e non in reparto come succedeva in passato.

Anche questo però è una spia di un sistema vicino al crollo. Partiamo dai dati, elaborati dal sindacato Spes (medici dell’emergenza), attingendo dagli archivi dell’Asp (l’agenzia regionale della sanità). Solo il dato del 2012 è ufficioso, gli altri sono già stati verificati. Cosa emerge? Nel 2002 nei pronto soccorso di Roma e del Lazio morirono 1.533 pazienti. Cinque anni dopo, nel 2007, quella cifra era già arrivata a 2.136. Costantemente, anno dopo anno, il dato è aumentato: 2.747 nel 2010, 3.125 nel 2011. Oggi siamo a una media di circa 9 morti al giorno in pronto soccorso, visto che il 2012 ha fatto contare negli ospedali di Roma e Lazio circa 3.200 decessi. Più del doppio di dieci anni prima.

Come si spiega?
Massimo Magnanti, medico del pronto soccorso del San Giovanni e leader del sindacato Spes: «Questi dati spiegano quanto noi denunciamo da anni, a partire dal 2009 quando organizzammo il Barella day. I pazienti restano troppo a lungo nei pronto soccorso, perché non ci sono posti nei reparti».

Altri dati per capire che siamo di fronte a una vera emergenza: in media ogni anno le ambulanze restano ferme davanti ai pronto soccorso ingolfati 250 mila ore e, periodicamente, il direttore dell’Ares invia lettere al prefetto per spiegare che il blocco dei mezzi potrebbe causare rischi al servizio. Ricorda Magnanti: «Accade, in molti pronto soccorso, che fino a 50-60 pazienti restino in attesa di un posto letto in barella anche per cinque o sei giorni.

I pronto soccorso diventano così dei reparti fantasma per decine di malati sulle barelle, spesso molto anziani, senza alcuna privacy e senza una assistenza dignitosa. E questo succede ogni giorno nei grandi ospedali romani». E tra gli effetti c’è anche questo: che si può anche morire su una barella, non in modo dignitoso in reparto.

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